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IL MONDO DI DANTE

venerdì 17 giugno 2016

La Roma di Dante: le grotte del Colle Aventino!

Ben ritrovati ad un nuovo appuntamento della rubrica:

I luoghi di Dante


ancora dedicata a Roma (vedi qui le altre puntate).

Oggi parleremo di un personaggio e di un luogo particolari.
Nel XXV canto dell'Inferno, Dante, tra i ladri, ne incontra uno dall'aspetto inquietante: si tratta di un  centauro che ha sulle spalle un grande drago che vomita fiamme, e sulla groppa moltissime bisce.

Maremma non cred'io che tante n'abbia,
quante bisce elli avea su per la groppa
infin ove comincia nostra labbia. 

Sovra le spalle, dietro da la coppa,
con l'ali aperte li giacea un draco;
e quello affuoca qualunque s'intoppa.
 

Virgilio lo presenta come Caco, un personaggio mitologico (descritto nell'Eneide come un pastore e non come un centauro) che, secondo la leggenda abitava in una grotta presso il colle Aventino e che era solito rubare i capi di bestiame di chi passava presso quei luoghi, macchiandosi anche di colpe più gravi, quali l'assassinio. Senonché, dopo aver rubato alcune bestie ad Ercole, era stato ucciso da quest'ultimo.
Così lo presenta infatti Virgilio nella Commedia:

Lo mio maestro disse: "Questi è Caco,
che, sotto 'l sasso di monte Aventino,
di sangue fece spesse volte laco.

Non va co' suoi fratei per un cammino,
per lo furto che frodolente fece
del grande armento ch'elli ebbe a vicino;  

onde cessar le sue opere biece
sotto la mazza d'Ercule, che forse
gliene diè cento, e non sentì le diece". 


Dante tra i ladri dell'Inferno.
Al centro si vede bene la figura di Caco.
Il dipinto è di Priamo della Quercia (XV secolo)
Secondo l'Eneide, Caco era stato ucciso per strangolamento. Invece, secondo Dante, Ercole aveva riempito il ladro di bastonate, così forti da farlo morire dopo solo dieci colpi.
Tra i due racconti ci sono poi altre differenze, come il fatto che Caco, secondo il mito originale non era affatto un centauro. Nella Commedia, tra l'altro, viene giustificato il fatto che Caco non si trova tra gli altri centauri (i demoni che custodiscono il primo girone dei violenti) perché si era macchiato di un ladrocinio frodolente, e quindi era più adatto a questo cerchio.

 Ercole e Caco, scultura di Baccio Bandinelli, 
Piazza della Signoria - Firenze
Tuttavia, quello che qui ci interessa è l'ambientazione del racconto di Caco: il Colle Aventino.

 L'Aventino verso il Tevere
Tuttora ci sono dei sotterranei sotto il colle.
Guardiamo, per esempio, questo filmato:






Ma sui sotterranei di Roma in generale, consiglio quest'altro video, tratto da Passaggio a Nord-Ovest:

Saluti a tutti. Alla prossima.

La Roma di Dante: il velo della Veronica a San Pietro!



I luoghi di Dante

 
Continua il nostro viaggio nei luoghi citati da Dante nella Divina Commedia!

Continuiamo ad occuparci di Roma, anche in virtù dell'attenzione a cui è sottoposta in questo periodo grazie al Giubileo.
Oggi vogliamo parlare di un oggetto che ancora si trova nella Basilica di San Pietro. Si tratta della Veronica, cioè di una reliquia bizantina ancora conservata in una delle logge della Cupola, un velo con cui, secondo una leggenda, una donna avrebbe usato per asciugare il volto sanguinante di Gesù durante il Calvario (l'episodio è ricordato nella stazione VII della Via Crucis).
Sempre secondo la leggenda, la donna sarebbe l'emorroissa precedentemente guarita dallo stesso Gesù (Matteo, IX, 20-22; Luca, VIII, 43-48). Il nome «Veronica» (presente negli apocrifi Atti di Pilato, cap.7) deriva forse dall'espressione «vera icon» con cui la reliquia era definita nel Medio Evo. Ma sull'origine delnome, si rimanda all'Enciclopedia cattolica.
Questo velo, secondo la tradizione, riprodurrebbe il vero volto di Cristo. E così, come si può facilmente capire, molti pellegrini, all'epoca di Dante, andavano a San Pietro per contemplarla.
Da non dimenticare, naturalmente, che la Basilica di San Pietro, allora, era molto diversa da come è oggi. Pressappoco così:
 
Di questo velo (che oggi viene mostrato ogni anno in occasione della V domenica di quaresima, la domenica di Passione) non ci sono fotografie precise, e quindi qui possiamo riportare solo dei dipinti che la raffigurano. Va detto inoltre, che ci sono altri veli sparsi per il mondo che la tradizione cristiana ha identificatocon la Veronica.


Dante ricorda la Veronica in due occasioni.
Intanto, nella Vita Nuova, dove accenna ai tanti pellegrini che passavano per Firenze (e vicino alla casa di Beatrice) per andare a vedere, appunto, «quella imagine benedetta la quale Gesú Cristo lasciò a noi per esemplo de la sua bellissima figura»:

«Dopo questa tribulazione avvenne (in quel tempo che molta gente va per vedere quella imagine benedetta la quale Gesú Cristo lasciò a noi per esemplo de la sua bellissima figura, la quale vede la mia donna gloriosamente), che alquanti peregrini passavano per una via la quale è quasi mezzo de la cittade, ove nacque e vivette e morío la gentilissima donna [Beatrice]» (Vita Nuova, XL).

E poi, nella Commedia, nel canto XXXI del Paradiso.
Il Poeta si trova nell'Empireo, davanti alla Candida Rosa dei beati, quando improvvisamente si accorge di avere vicino un santo vecchio. Questi si presenta come San Bernardo, un personaggio che Dante ammirava moltissimo. Così, per far capire ai lettori quanto sia grande la sua emozione di trovarsi davanti a lui, paragona le sue sensazioni a quelle del pellegrino che, venuto da lontano (dalla Croazia, allora ritenuta terra lontanissima ed esotica), ha raggiunto finalmente il suo obiettivo di trovarsi davanti alla Veronica:

Qual è colui che forse di Croazia
viene a veder la veronica nostra,
che per l'antica fame non sen sazia,
ma dice nel pensier, fin che si mostra:
'Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace,
or fu sì fatta la sembianza vostra?';
tal era io mirando la vivace
carità di colui che 'n questo mondo,
contemplando, gustò di quella pace.
(Paradiso, XXXI 103-108).

Bernard of Clairvaux - Gutenburg - 13206.jpg 

San Bernardo di Chiaravalle - Gutenburg


Ovviamente, il paragone non è tra San Bernardo e Cristo, ma tra l'emozione di Dante e quella del pellegrino croato.
Possiamo immaginare che Dante stesso ebbe il piacere di vedere la reliquia se mai si trovò a Roma (nel 1300 o nel 1301).
Se questo articolo vi è piaciuto, non dimenticate di leggere gli altri dedicati ai luoghi di Dante.
Saluti.
Alla prossima.

La Roma di Dante: la Pigna di San Pietro!

Continua il nostro viaggio nei luoghi citati da Dante nella Divina Commedia!

I luoghi di Dante


Per ora ci stiamo occupando di Roma, anche in virtù dell'attenzione a cui è sottoposta in questo periodo grazie al Giubileo.
Ed è proprio in occasione del Giubileo, il primo Giubileo della storia, quello del 1300, che, forse, Dante visitò Roma. Abbiamo già visto alcuni riferimenti del Poema alla città: l'Albergo dell'Orso, Monte Mario e Ponte Sant'Angelo.
Oggi ci occupiamo invece della cosiddetta Pigna di San Pietro, o Pignone.
Trovandosi presso il pozzo dei giganti, Dante scorge l'immensa figura del gigante Nembrot, e, per suggerirne le proporzioni, paragona la grandezza della sua testa a quella della pina di San Pietro:

La faccia sua mi parea lunga e grossa
come la pina di San Pietro a Roma,
e a sua proporzione eran l’altre ossa;
(Inferno, XXXI, 58-60)


Questa pigna di bronzo, prodotta nell'antica Roma, a quei tempi era situata davanti alla chiesa di San Pietro (che era molto diversa dalla basilica attuale). Oggi, invece, si trova nel Cortile della Pigna realizzato dal Bramante nell'ambito dei Musei Vaticani.

 

La Pigna è alta quasi quattro metri. Gli studiosi hanno quindi cercato di calcolare la grandezza del gigante Nembrot. Date le proporzioni, la sua grandezza doveva essere di 25 metri. C'è da dire però, che quella di Dante non voleva forse essere un'indicazione precisa, ma solo un'allusione generica.
 

 
La Basilica di San Pietro ai tempi di Dante.
"Basilica di San Pietro 1450" di H.W. Brewer (1836 – 1903)

Nembrot viene punito, secondo Dante, in quanto fu colui che osò sfidare Dio con la costruzione della torre di Babele. In realtà, la Bibbia non fa alcun riferimento a questo fatto, ma questo è quello che la tradizione aveva riportato ai tempi del Poeta. C'è però da dire che Nembrot (Nimrot, nella Bibbia) non era affatto un gigante. Probabilmente, Dante sbagliò a causa della trascrizone dei Settanta: «gigans venator contra Dominum Deum».

"Inferno Canto 31, Nembrot, Gustave Dorè".  


Aggiungiamo qualche altra notizia sulla Pigna.
Essa venne trovata durante il Medioevo presso le Terme di Agrippa e risulta opera di un certo Publio Cincio Savio. Probabilmente decorava originariamente il vicino Tempio di Iside al Campo Marzio, dove, facendo parte di una fontana, gettava acqua dalle punte. Il suo ritrovamento diede il nome al Rione Pigna, tuttora in uso. Solo nel 1608 (e quindi tre secoli dopo la morte di Dante) venne collocata al centro dell'esedra del cortile del Bramante.

Saluti a tutti.
Alla prossima.




La Roma di Dante: Ponte Sant'Angelo e il Giubileo!

Buongiorno a tutti e ben ritrovati.

Eccoci ad un nuovo appuntamento de

I luoghi di Dante


cioè, della rassegna di tutti i luoghi che hanno avuto a che vedere con il Poeta, perché visti da lui personalmente o perché citati nelle sue opere.
Abbiamo inziato con Roma
Qui trovi la parte relativa all'Albergo dell'Orso.
E qui trovi quella su Monte Mario, Balduina, e via Trionfale.

Ma continuiamo.
Abbiamo visto che molto probabilmente Dante visitò la città eterna in occasione del Giubileo del 1300. La cosa non sarebbe strana, visto il gran numero di visiatori che scese nella città in quell'anno.


A Roma, in quell'occasione, si trovava anche il famoso cronista Giovanni VIllani, il quale, anzi, proprio dalla visione di tutta quella folla e delle grandezze di Roma, fu spinto a scrivere la sua Cronica.
Il Giubileo del 1300 -il primo Giubileo della storia- fu indetto in febbraio dal Papa Bonifacio VIII con la bolla Antiquorum habet (qui un'immagine dell'antica bolla in latino): a chiunque avesse visitato entro l’anno le Basiliche di San Pietro e di San Paolo sarebbe stata concessa l’indulgenza plenaria. Non stupisce, quindi, che arrivasse in città  una folla immensa. Cosa che certamente fece felici gli albergatori e i ristoratori dell'epoca!


Ma Dante vide la Roma giubilare?
C'è un passo della Commedia che fa pensare di sì. Nel canto XVIII dell’Inferno, infatti, il Poeta  paragona il procedere in due sensi opposti di due file di peccatori (ruffiani e seduttori) all'interno di una bolgia ai pellegrini che, sul ponte Sant’Angelo, durante il Giubileo, si incrociavano, gli uni diretti verso San Pietro, gli altri, di ritorno, verso il Monte Giordano
In pratica, i dannati si muovono su due file, così

come i Roman per l'essercito molto,
l'anno del giubileo, su per lo ponte
hanno a passar la gente modo colto,  

che da l'un lato tutti hanno la fronte
verso 'l castello e vanno a Santo Pietro,
da l'altra sponda vanno verso 'l monte.

Inferno, XVIII, 28-33.

Cioè, gli organizzatori del Giubileo, per agevolare il passaggio dei pellegrini su quello che all'epoca era l'unico ponte per andare verso San Pietro, avevano stabilito due file: una verso Castel Sant'Angelo (e quindi verso San Pietro) e una verso la parte opposta (la piccola collinetta del Monte Giordano).

Il ponte era l'attuale «Ponte Sant'Angelo».


Il Monte Giordano era la collinetta che si apriva dall'altra parte del ponte e che era stata formata molto probabilmente dai detriti dello scalo fluviale di Tor di Nona. Attualmente, questo luogo è ricordato da una via adiacente a via di Panìco.


Naturalmente, la basilica di San Pietro, allora, era molto diversa da quella attuale (fatta costruire da Giulio II a partire dal 1506) . Risaliva all'epoca di Costantino, e doveva avere pressappoco questo aspetto:



Questo passo della Commedia fa pensare che Dante possa essere stato a Roma in quel periodo e che possa aver visto di persona la strategia attuata sul ponte. Soprattutto perché questa descrizione è presente (almeno nei documenti rimastici) solo nella Commedia.
E' vero però che Dante era bravissimo a fare delle descrizioni di luoghi non visti e che poteva aver sentito parlare di questa cosa da altri pellegrini.
Tuttavia, rimane saldo tutto il fascino di questo piccolo quadretto della Roma dell'epoca inserito tra le pieghe dei versi del Poema!

Alla prossima.

N.B.
Le foto sono tratte da Wikipedia

La Roma di Dante: via Trionfale e Monte Mario!

I luoghi di Dante


Seconda parte della rubrica dedicata ai «Luoghi di Dante», luoghi cioè, citati dal Poeta o da lui visitati. In questi primi post ci stiamo occupando di Roma.
La volta scorsa abbiamo parlato dell'Albergo dell'Orso, posto nel centro della«città eterna». oggi invece parliamo di un luogo che Dante, se venne a Roma (nel 1300 o nel 1301), dovè vedere per forza: è la zona a nord della città, tra Monte Mario e Balduina. Anticamente, questi due luoghi costituivano il punto da cui dovevano necessariamente passare i pellegrini che dal Nord erano diretti a Roma. Qui, infatti, passava la cosiddetta «via Francigena».
I viaggiatori che provenivano da Viterbo infatti, giunti a Roma dalla via Cassia, si trovavano di fronte al Ponte Milvio (allora «Ponte Mollo»), distrutto dalle vicende belliche medievali, ed erano costretti a deviare per l'antica via Triumphalis.
Subito dopo aver superato la zona dove nel Quattrocento sarebbe sorta la straordinaria villa Mellini e dove ora si trova l'Osservatorio Astronomico, i pellegrini sbucavano nell'attuale quartiere della Balduina. Era proprio questa zona che anticamente veniva definita «Monte Mario».E da qui si poteva finalmente ammirare San Pietro. Il viaggio dei pellegrini era quasi arrivato al termine. Non toccava altro, a questo punto, che arrivare alla basilica.



Riporto l'immgine di Roma vista dalla Balduina in un dipinto dell'Ottocento:

 

L'immagine -Olio di Salomon Corrodi, del 1876- è tratta da Wikipedia.
A sinistra si può vedere l'accesso alla villa Mellini. Naturalmente, all'epoca di Dante il paesaggio doveva essere un po' diverso, ma il dipinto rende comunque l'idea.

Ora, Dante, nella Commedia, dovendo descrivere le due città di Firenze e di Roma, va ad indicarle NON con il loro nome, ma con due luoghi specifici: Monte Mario per Roma, l'Uccellatoio per Firenze. L'indicazione è presente nell'episodio di Cacciaguida, in cui quest'ultimo dice a Dante che anche se Firenze (l'Uccellatoio) era fortissima come un tempo era stata Roma (Monte Mario), in futuro sarebbe caduta in decadenza così come era caduta Roma.
Monte Mario viene indicato con l'espressione antica «Monte Malo»:



Non era vinto ancora Montemalo
dal vostro Uccellatoio, che, com'è vinto
nel montar sù, così sarà nel calo.

Paradiso, XV, 109-111

Ma è curioso il fatto che il Poeta utilizzi proprio quei due luoghi per indicare quelle zone!
Perché lo fa? Le sceglie a caso?
Ovviamente no. Con Dante, mai nulla viene fatto a caso!
Vengono indicati quei due luoghi perché proprio quei due luoghi erano quelli che per primi si aprivano allo sguardo dei visitatori che venivano nelle due città: l'Uccellatoio era la zona che veniva toccato per primo da chi andava da Bologna a Firenze; Monte Mario, da chi andava da Viterbo (e generalmente dal Nord) a Roma.

Di seguito, riporto alcuni video tratti da Youtube relativi alla zona di Monte Mario e al suo antico ruolo di zona di passaggio della via Francigena.
Prima due servizi del TG3. Poi, un documento sulla via Francigena.
In un Ulisse di alcuni anni fa dedicato al percorso che facevano gli antichi pellegrini per venire a Roma, la storia viene fatta partire proprio dalla zona a Nord di Roma di cui abbiamo parlato fin qui. Per vederlo, cliccate qui.

Buona visione.

La Roma di Dante: l'Albergo dell'Orso!

I luoghi di Dante



Bentornati.
Da oggi inizia una rubrica dedicata ai "luoghi danteschi", intesi sia come i luoghi che lui ha visitato personalmente (realmente o secondo le leggende) e quelli presenti nei suoi scritti, e in particolar modo nella Divina Commedia.

 
Un ritratto che ho provato a fare di Dante.
Se si salva per riutilizzarlo  
si prega di lasciare la firma e di citare la fonte.

Vorrei cominciare dalla città italiana che è più sotto attacco in questo momento: la capitale, Roma.
Il Poeta cita spesso Roma, nella Commedia, e lo vedremo in seguito. Roma, per lui era importantissima perché era stata stabilita per lo loco santo u' siede il successor del maggior Piero, e perché era stata destinata dalla Provvidenza a costituire il nocciolo di quell'Impero che avrebbe guidato il mondo.
Tuttavia, non si sa se Dante sia mai andato effettivamente a Roma. Da un passo del Poema (su cui torneremo) sembrerebbe di sì. Ma non è certo.
Comunque, se questo è avvenuto, potrebbe essere stato in due occasioni.
O durante il Giubileo del 1300 (il primo Giubileo della storia) o nell'ottobre del 1301, quando sarebbe andato a parlare con il papa Bonifacio VIII per discutere dei problemi di quest'ultimo con Firenze. In questa occasione, secondo l'antico cronista Dino Compagni, Dante avrebbe detto: Se io vado, chi resta [a difendere Firenze]? E se io resto, chi va?.
Bene, in una di queste due occasioni (o in entrambe), il Poeta avrebbe  soggiornato presso un antico albergo, posizionato a via dell'Orso: l'Albergo dell'Orso.

 
Foto tratta dal sito dell'attuale albergo
 
A questo link si può trovare una piccola storia della via e dell'albergo (attualmente "Antica locanda dell'orso"). Ed ecco lo Street View di Google Maps.

 

Ma soprattutto, su Youtube è presente un vecchio video dell'Istituto Luce, che descrive il restauro dell'albergo effettuato nel 1937, in epoca fascista. 
Eccolo:


Bruno Nardi: "Dante e la cultura medievale"!

Oggi parliamo di un altro libro su Dante:
Dante e la cultura medievale

di Bruno Nardi.
 

Diciamo subito che stiamo parlando di un testo scritto da  uno dei principali dantisti del Novecento. Gran parte degli studi di Bruno Nardi infatti, hanno riguardato, oltre che la storia della filosofia, Dante e i rapporti di quest'ultimo con la filosofia e il mondo medievale. L'espressione "Nel mondo di Dante" è anche il titolo di un suo famoso libro. Ma per ogni informazione su di lui, si rimanda alla voce dell'Enciclopedia dantesca redatta da Tullio Gregory.
Ma passiamo al testo di oggi.
La prima edizione è del 1942; la seconda risale al 1983. Oggi è possibile leggerlo nell'edizione Laterza. Ma non dobbiamo farci ingannare dalla data: è nel passato che sono state poste le basi delle riflessione sul Poeta. E si tratta di cose che difficilmente si ritrovano sui testi scolastici.
Il libro raccoglie una serie di saggi, relativi ad alcune questioni dantesche, delle quali (almeno di alcune) scriverò più approfonditamente nelle prossime puntate di questa rubrica.
Il primo saggio è dedicato alla "filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante". Tutti sappiamo che l'argomento principale della poesia duecentesca era l'Amore. Di esso trattavano i poeti provenzali, i Siciliani, gli Stilnovisti. Intorno all'Amore c'era tutto un dibattito? Ma quando era inziato? Da cosa era nato? Come si era sviluppato? E con quali diverse modalità era stato trattato?
E poi, come venne trattato da Dante? Il Poeta iniziò da stilnovista, ma arrivò nella Commedia ad una concezione molto diversa dell'Amore. La teroia tradizionale dell'Amore è quella esposta da Francesca nell'Inferno (nel famoso episodio di Paolo e Francesca). Che per Dante però, è anche una concezione sbagliata perché afferma l'irresistibilità della passione umana, laddove invece, la Ragione consente all'uomo di resistervi.
Il secondo saggio è dedicato a Guido Cavalcanti, il primo amico di Dante, e al suo possibile averroismo. Il terzo è relativo al commento della sua famosa canzone Donna mi prega.
Il quarto saggio è dedicato all'episodio di Ulisse. Per il Nardi, il famoso eroe avrebbe commesso un peccato simile a quello di Adamo ed Eva nel cercare di superare le colonne d'Ercole. Idea che io non condivido appieno, ma che è ben argomentata.
Il quinto riguarda il rapporto di Dante con il latino e il volgare. Il Poeta fu un vero e proprio paladino del volgare italiano, cioè dell'Italiano.
Poi ci sono vari saggi sulla natura dell'anima umana secondo Dante: e questa è forse la parte più complessa insieme a quella relativa al Cavalcanti.
Ed infine c'è il saggio "principe" di Nardi, quello che contiene esposta completa la sua idea di Dante profeta. Non c'è dubbio sul fatto che Dante si ponesse, nel Poema, come un profeta. Ma secondo lo studioso, Dante si riteneva davvero un "profeta". Si tratta di un capitolo, questo, molto interessante; e per certi aspetti divertente, come lo sono tutti quelli in cui i saggisti rispondono alle critiche di altri saggisti.

Come ho già segnalato, prossimamente discuterò di alcuni di questi argomenti, oltre che di altri, sempre relativi al Poeta.

Per ora, invece, vi saluto.
Alla prossima!